L'Unicorno e la bonifica di Ferrara
L'unicorno, oltre a rappresentare un animale immaginario dal corpo di cavallo, il corno in mezzo alla fronte e poteri magici, è un elemento ricorrente all’interno della corte ferrarese. Già nel Rinascimento, Borso d'Este, duca di Ferrara, legò infatti la raffigurazione dell'unicorno alla bonifica estense. Il leggendario animale purificava le acque dal veleno, nello stesso modo in cui «Borso, casto e prudente, portava la pace fra i suoi sudditi e ne consolava gli affanni». Nel suo ruolo miracoloso, l'unicorno appare ritratto all'interno di numerose opere ferraresi, tra le più celebri ricordiamo la famosa miniatura della Bibbia di Borso d'Este ed il ritratto nel portale maggiore del Palazzo Schifanoia. >>Per saperne di più
L'animale magico dal corpo di cavallo ha iniziato ad alimentare miti e leggende già in tempi molto remoti (prime rappresentazioni si ritrovano nelle Grotte di Lascaux risalenti al Paleolitico superiore) e continua ad influenzare la tradizione fiabesca ancora oggi. Dall'antica Grecia alla Cina, da William Shakespeare al Fantasy contemporaneo, innumerevoli immagini e significati simbologici sono stati associati all'unicorno e si sono tramandati fino ai giorni nostri. >>Per saperne di più
L'Unicorno a Ferrara
Borso d'Este (1413 – 20 agosto 1471) fu un figlio illegittimo di Niccolò III d'Este, marchese di Ferrara, duca di Modena e Reggio. Borso il 18 maggio 1452 ricevette i feudi di Reggio e Modena dall'Imperatore Federico III come duca. Il 14 aprile 1471 il papa Paolo II lo nominò duca di Ferrara. La corte di Borso fu il centro della Scuola di pittura di Ferrara, cui appartengono Francesco del Cossa, Ercole de' Roberti e Cosmè Tura. La fama di Borso come committente di opere è legata alla famosa Bibbia, una delle più alte opere di miniatura del Rinascimento italiano.
La Bibbia di Borso d'Este è un codice miniato in due volumi da Taddeo Crivelli e altri tra il 1455 e il 1461. È conservata nella Biblioteca Estense di Modena. La Bibbia di Borso d'Este, una delle più mature espressioni della miniatura rinascimentale, fu eseguita su pergamena nell'arco di sei anni da una squadra di artisti diretta dal Crivelli e da Franco dei Russi. Seguendo le sorti della casata fu portata da Ferrara a Modena nel 1598, dove rimase fino alla fine del ducato nel 1859. In quell'occasione venne presa, assieme ai tesori più preziosi della casata da Francesco V in fuga. Portata fuori dall'Italia venne recuperata durante la prima guerra mondiale, quando fu acquistata a un'asta dal senatore Giovanni Treccani e poi donata alla biblioteca modenese.
Dalla Bibbia di Borso d'Este l'immagine, collegata alla bonifica estense, che rappresenta l'"impresa" dell'Unicorno e l'"impresa" del Paraduro. Elemento ricorrente all’interno delle corti italiane, e di quella ferrarese in particolare, è quello dell’“impresa”. Con tale vocabolo si va a definire la «rappresentazione simbolica d’un proposito, d’un desiderio, d’una linea di condotta – ciò che si vuole “imprendere”, intraprendere – per mezzo di un motto ed’una figura che vicendevolmente s’interpretano».
Giungendo a Palazzo Schifanoia, si incontra subito l’”impresa” dell’unicorno: questo animale si trova infatti in due punti diversi del portale maggiore, in pietra d’Istria, il cui impianto architettonico si deve a Pietro di Benvenuto degli Ordini e le cui sculture a rilievo sono variamente attribuite a Biagio Rossetti o allo stesso Francesco del Cossa.
Il primo unicorno, corrispondente alla tipologia che precede l’epoca di Borso – con il capo eretto e le fauci digrignate, simbolo di ferina vitalità- è scolpito a tuttotondo sul’acroterio, nel punto più alto del portale, e si presenta assiso in un cesto di graticcio che certo ricorda il contemporaneo “paraduro”. Il secondo – sotto il dattararo, con il corno immerso nell’acqua ed un aspetto mansueto, come si conviene al modello borsiano – fa invece parte della decorazione dello stipite anteriore sinistro del portale, questa raffigurazione era legata al concetto di vittoria sul male: il leggendario animale purificava le acque dal veleno, nello stesso modo in cui «Borso, casto e prudente, portava la pace fra i suoi sudditi e ne consolava gli affanni». Nella simbologia cristiana, grande è il potere curativo del corno di questa fiera: si dice che, anche in polvere, guarisca da qualsiasi veleno.
La mitologica creatura compare poi fra gli affreschi del Salone dei Mesi, precisamente nel mese di marzo: qui una coppia di unicorni, nella fascia superiore, traina il carro del Trionfo di Minerva. Anche nella Sala delle Virtù e nella Sala delle Imprese si riconosce l’immagine dell’unicorno, assieme ad altre insegne tipiche di Borso d’Este.
Anche l'impresa del “paraduro” (una specie di palizzata, costituita di travi contesti di legni più sottili inchiodati ed intrecciati con rami di salice » che «serviva di sostegno e rincalzo agli argini dei grandi fiumi») si trova sul portale di Palazzo Schifanoia: oltre ad essere visibile, assieme all’unicorno, sullo stipite sinistro.
Come fa notare Franco Cazzola nelle sue ricerche sulle campagne ferraresi intorno alla metà del ‘400, il tempo del contadino è ciclicamente scandito in dipendenza da azioni ripetute in ogni stagione. La raffigurazione del paesaggio ferrarese nel Salone dei Mesi non può dunque prescindere dalla riproposizione di oggetti reali o di riferimenti a tecniche agricole ben precise: testimonianza ne sono non solo il paraduro, ma anche altri particolari come il pergolato e la torre colombaia nel mese di marzo, e la cappa di spighe nel mese di giugno. Questo particolare ci convince ulteriormente dell’importanza di tale “impresa”, collegata alla bonifica estense ed all’interesse di Borso verso il suo territorio, e del suo collegamento con l’immagine dell’unicorno presente nella fascia inferiore dello stesso mese.
Tale animale – il cui corno miracoloso sarebbe in grado di purificare le acque – è ricollegabile alla figura della dea vergine per eccellenza, e dunque anche al personaggio di Borso, descritto dalle cronache come esemplarmente puro. Unicorno, siepe e paraduro quindi vengono spesso rappresentati insieme.
L'Unicorno nella storia e nel mito
L'unicorno o liocorno (talvolta leocorno) è un animale immaginario dal corpo di cavallo con un singolo corno in mezzo alla fronte. Il nome deriva dal latino unicornis a sua volta dal prefisso uni- e dal sostantivo cornu, "un solo corno".
Il liocorno è tipicamente raffigurato come un cavallo bianco dotato di attributi magici, con un unico lungo corno avvolto a torciglione sulla fronte. Molte descrizioni attribuiscono all'unicorno anche una barbetta caprina, una coda da leone, zoccoli divisi ed ali di uccello.
Una primissima rappresentazione può riconoscersi in un animale rappresentato nelle Grotte di Lascaux (Francia, Paleolitico superiore), dotato di un corno lunghissimo sulla testa e pelame sotto il muso e disegnato insieme ad altri animali.
I vari Bestiari in ogni parte del mondo parlano dell’unicorno e ne danno un’immagine fiabesca, talvolta mostruosa. Plinio lo descrive con corpo di cavallo, testa di cervo, zampe di elefante e coda di cinghiale. Il mito dell’unicorno affonda le sue origini in Oriente, in particolare in India ed in Cina, dove veniva raffigurato come una sorta di cervo con gli zoccoli e dove veniva venerato come un animale sacro.
Dall’Oriente il mito dell’unicorno giunge nell’antica Grecia, tramite lo storico Ctesia. Nel VI secolo a.C., infatti, lo storico greco narrava, nel resoconto di uno dei suoi viaggi nel lontano Oriente, di aver visto un “asino simile ad un cavallo con ali ed un solo corno acuminato, velocissimo, con testa purpurea e occhi azzurri". In Cina l'unicorno rappresenta virtù regali. La comparsa dell’unicorno segnala la presenza di un saggio: non calpestava erba viva ne uccideva animali viventi, e compariva solamente nel momento in cui venivano al mondo dei regnanti perfetti. Perfino W.Shakespeare, in epoca rinascimentale, si riferiva ad esso come ad un “animale incredibile” nel III atto de La Tempesta.
Generalmente è ritratto come cavallo di grosse dimensioni, dotato di un unico lungo corno posto in mezzo alla fronte ritto verso il cielo. Il perché di tanta fama e di tanto interesse va ricercato nei poteri che gli venivano attribuiti.
Si diceva che l’unicorno fosse un animale molto docile, incapace di fare del male e dotato di una particolare sensibilità che lo rendeva capace di evitare imminenti pericoli. Si diceva anche che fosse talmente prezioso che sulla terra se ne trovasse solo uno vivente per volta. Numerose sono le superstizioni sul suo conto: il suo corno era considerato oggetto oltremodo pregiato e dotato di poteri sovrannaturali, motivo per cui l’unicorno fu spesso cacciato dall’uomo.
Il corno che aveva sulla fronte, l’Alicorno, era lungo circa 50 centimetri e si diceva fosse dotato di poteri magici. Si credeva, ad esempio, che se il corno veniva toccato da una persona gravemente malata, questa potesse guarire istantaneamente. E non solo: il corno aveva la capacità di proteggere dagli avvelenamenti (se polverizzato – solo dopo la morte naturale del mitico animale - e preparato in una specifica pozione); inoltre, bere in una coppa fatta di alicorno poteva proteggere da diverse patologie, come l’epilessia ecc.ecc.
Ovviamente non era da tutti vederlo ed avvicinarlo: la leggenda vuole che l’Unicorno fosse un animale così puro che solo persone dall’animo puro e candido potessero cavalcarlo. E’ per questa ragione che spesso l’unicorno veniva raffigurato cavalcato da una vergine, da un Mago o da un Elfo. In tempi recenti, l’unicorno è giunto, tramite un passaggio nell’interessante tradizione favolistica del nord Europa, al mondo del Fantasy, un mondo irreale che ogni giorno incuriosisce ed affascina tutti noi.